laboratorio teatrale di cultura biotecnologica zonegemma@tin.it
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PER UN TEKNO-TEATRO
a cura di Giacomo Verde

... A teatro gli spettatori si comportano passivamente come di fronte ad un film o ad una televisione: sono ormai abituati a percepire il mondo come se fosse solo immagine. Alcuni pensano che l'unico modo per riconquistare una fruizione attiva, tridimensionale, capace di far sentire il "qui e ora" proprio del teatro, sia creare azioni fisicamente coinvolgenti o sconvolgenti al limite della provocazione e dello scandalo. Questo in parte è vero, ma quello che viene a mancare, spesso, in questi casi, è la percezione mitica, archetipica o immaginifica dell'evento teatrale; percezione che una volta veniva creata dallo sviluppo drammaturgico (quando il senso comunitario del teatro era più forte o semplicemente più evidente). Durante questi ultimi anni di esperienza teatrale ed extra-teatrale l'uso di tecnologie della visione in scena (schermi, proiezioni di varia natura, interattività corpo-tecnologia) hanno aperto nuove possibilità di recupero e di rinnovamento del senso del teatro più di tante "sollecit'azioni" cruente ma drammaturgicamente deboli.
Il fatto di vedere sulla scena i corpi di attori e immagini elettroniche che entrano in dialogo diretto tra di loro può fare "magicamente" notare lo scarto e il dialogo possibile tra "persona-tridimensionale" e "cosa-bidimensionale", tra consistenza del corpo e immaterialità del mito: le loro intrinseche potenzialità possono mostrarsi ai nostri sensi aiutandoci a comprendere la "realtà tecnologica-mente aumentata" in cui ci troviamo a vivere.
Ma perchè ciò accada bisogna che le immagini siano prodotte in tempo reale e che gli attori siano dei narratori, in grado di guardare gli spettatori in faccia e di modificare palesemente l'andamento della loro performance; insomma bisogna che si crei una sorta di "tekno-narrazione" che rivitalizzi l'arte antica della narrazione orale con nuovi strumenti comunicativi e che faccia sentire lo spettatore "necessario" alla rappresentazione: la tecnologia deve essere un mezzo che amplifica il contatto, il tempo reale, e non una gabbia che detta regole e ritmi preregistrati e immutabili.
Oggi con la diffusione delle tecnologie della "interattività" (dal computer ai lettori CDrom, dai videogames a Internet) ci troviamo di fronte ad un salto cognitivo dove la separazione tra produttore e consumatore, autore e fruitore diventa sempre più labile. Questa è una mutazione difficile da comprendere per chi non ci riflette quotidianamente, ma che comunque influisce sulla vita di tutti. Anche se si pensa di non essere responsabili di come "va il mondo", se si pensa di essere inattivi e quindi "innocenti", siamo comunque coinvolti, attraverso una rete di connessioni elettroniche-economiche-emotive, in modo che qualunque sia il nostro comportamento diventiamo un dato rilevabile e connesso a mille altri. E' sempre stato così ma ora risulta "tecnologicamente" evidente, e il sentimento di "interazione" responsabile con il mondo si manifesta attraverso un'infinità di scelte individuali che si confrontano e contrastano con un processo opposto di massificazione, di serializzazione produttiva, di spettacolarità tecnologica fine a se stessa, che provocano  l'impoverimento espressivo dei linguaggi e delle differenze (anche etnico-culturali), nonché un rischioso "consenso mediatico".
In questo nuovo contesto la separazione tra attore e spettatore va ripensata. E' sempre meno possibile immaginare opere efficaci che non siano in grado di far sentire lo spettatore come "necessario" all'evento. Questo non vuol dire fare "animazione teatrale" ma realizzare opere che tengano conto del contesto culturale e antropologico di cui fanno parte sia gli autori che i fruitori. Vuol dire smantellare la torre dell'artista educatore e prometeico per fare in modo che la cosiddetta "ricerca teatrale" non sia un ambito ipocritamente separato e di élite ma una pratica quotidiana in grado di trovare le giuste forme (piuttosto che le nuove forme) di comunicazione per riflettere con la propria comunità di riferimento.
E quando si realizzeranno opere sceniche in grado di far sentire lo spettatore "necessario" all'evento, non ci sarà nemmeno bisogno di usare tecnologia in scena perchè le mutazioni antropologiche indotte dalla "cultura dell'interattività", (diversa dalla "cultura dominante dell'occhio" che prevede un'interazione minima), saranno comunque state "comprese" e condivise.

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